Maestro...non mi viene la voglia di studiare
Ecco uno dei leitmotiv più famosi per quelli che fanno il nostro mestiere, e anche uno dei più accusati dagli allievi che si lamentano ogni tanto. Il problema della voglia di studiare non è cosa da poco e, partendo dal mondo musicale ed estendendo il discorso alla didattica in genere, e quindi a tutte le discipline, è possibile fare un discorso più ampio che tocca diversi aspetti della vita dell’allievo e motiva questa “mancanza di voglia di studiare”.
LUIGI LUCCI
1/6/20255 min read
Ecco uno dei leitmotiv più famosi per quelli che fanno il nostro mestiere, e anche uno dei più accusati dagli allievi che si lamentano ogni tanto.
Il problema della voglia di studiare non è cosa da poco e, partendo dal mondo musicale ed estendendo il discorso alla didattica in genere, e quindi a tutte le discipline, è possibile fare un discorso più ampio che tocca diversi aspetti della vita dell’allievo e motiva questa “mancanza di voglia di studiare”.
Posso dire senza tema di smentita che il problema quasi mai risiede nella scarsa volontà dell’allievo di mettersi a lavorare, quanto piuttosto in tutta una serie di ragioni più profonde che egli stesso ignora o non comprende, e tuttavia delle quali risente l’effetto. Il problema della disciplina, nel mondo dell’insegnamento, così come nella vita di tutti i giorni, è presente da tempo immemorabile, e soltanto negli ultimi decenni è diventato un serio oggetto di studio da parte della scienza ufficiale che ha così finalmente cominciato a mostrare i possibili motivi alla base di un comportamento svogliato e indolente. L’errore più grosso che si possa fare, e lo dico per esperienza diretta, è quello di costringere l’allievo a lavorare, di forzarlo a fare le cose. Questo purtroppo è un comportamento che molti adottano e che crea soltanto più problemi di quelli che già ci sono, determinando una situazione che spesso sfocia nella crisi, nel litigio, nello scontro e, peggio ancora, nell’abbandono totale del percorso e nel rinnegamento della passione o dell’interesse.
Non dissimile dal ruolo genitoriale, per molti aspetti, il ruolo dell’insegnante comporta una responsabilità che va ben aldilà del mero trasferimento di informazioni: è necessario infatti che ogni docente si assicuri che l’allievo abbia ben acquisito i contenuti e che sia in grado di elaborarli nel modo giusto quando si troverà da solo a casa a studiare.
In questa fase spesso è facile accorgersi di una certa repulsione, di una insofferenza, che insorgono in lui e che gli impediscono di seguire la lezione e di trarne un buon frutto. Davanti a questo fenomeno molti insegnanti, specie quelli più giovani e inesperti, cadono in errore credendo che l’allievo non abbia voglia e quasi che lo faccia apposta a non mostrare interesse, e allora si indispettiscono e si irrigidiscono.
Il rapporto fra l’uno e l’altro divento improvvisamente conflittuale: il docente ordina e l’allievo reagisce male, attivamente o passivamente.
Una situazione di questo tipo mostra chiaramente la presenza di un disagio incompreso (allievo) da un lato e di una impreparazione e di una inesperienza (docente) dall’altro.
Maestro...non mi viene la voglia di studiare...
Nella scuola di oggi, così come nella società contemporanea, l’idea di base è quella di raggiungere subito i risultati, di arrivare al “target” e di farlo primeggiando, cercando in tutti i modi di essere migliori degli altri.
Da dove ha origine questa tendenza? Da un malinteso senso di efficienza e di efficacia che imprudentemente ci ha condotti passo passo a trascurare l’importanza del lavoro di trasformazione che la cultura realizza nella persona e a sostituirlo invece con una visione narcisistica e ottusamente competitiva.
Gli allievi molto spesso finiscono per rimanere intrappolati in queste maglie e per una miriade di ragioni differenti precipitano in un caos demotivante.
Nella mia personale esperienza mi è capitato molte volte di dover trasformare un’ora di lezione in un’ora di chiacchierata, soprattutto di ascolto, e scoprire che tante volte dietro quella apparente malavoglia si nascondevano fantasmi assai ingombranti: quanti allievi ho incontrato che non avevano scelto di propria intenzione il percorso che stavano seguendo ma lo avevano fatto per compiacere o, peggio ancora, per realizzare le aspettative dei genitori...
Quanti allievi avevano deciso di cominciare un cammino di istruzione musicale perché semplicemente si sentivano come “foglie al vento” (uno di loro mi ha proprio detto così) e non sapevano che cosa fare nella vita. Quanti ancora per competitività con uno o più amici avevano deciso, spalleggiati da genitori più competitivi di loro (e sicuramente anche più immaturi), di mettersi a studiare uno strumento, talvolta anche più di uno... Alcuni avevano scelto questo cammino perché le famiglie, per una questione di prestigio, avevano sempre avuto almeno un figlio studente di musica e capace di suonare uno strumento, da esibire poi durante i vari ricevimenti familiari con tanto pomposo orgoglio... In certi casi ho avuto allievi provenienti da famiglie difficili, con genitori separati e in aperto conflitto, in altri casi con genitori colpevoli di reati gravi e in prigione, che le famiglie mandavano a scuola di musica per dar loro la possibilità di un’esperienza sana, nel tentativo di offrirgli una possibilità di salvezza dal loro inferno quotidiano.
E la lista è lunga...purtroppo assai lunga...
Nel medioevo era diffusa, tristemente, l’idea che i bambini non avessero un sistema nervoso o un cervello sviluppati come quello degli adulti, e per questo motivo in ambito medico si credeva che non provassero dolore, semplicemente perché non ne erano
Maestro...non mi viene la voglia di studiare...
ancora capaci. Per questo motivo la chirurgia del tempo interveniva senza somministrare loro anestetici e le loro manifestazioni di sofferenza erano identificate come “capricci”... Perché dico questo? Perché molto spesso, molto, molto spesso, quando un allievo ci dice di non aver voglia di studiare, in realtà ci sta chiedendo qualcos’altro, ci sta indicando di seguirlo in un luogo che talvolta è inaccessibile anche a lui, per tentare di risolvere una questione della quale soffre il peso, l’ingombro, gli effetti, ma che non riesce neanche bene a comprendere.
Dietro la mancanza di voglia di studiare spesso ci sono sofferenze che non si sanno esprimere, disagi, dolori che restano muti, sepolti, aspirazioni e sogni che rimangono inascoltati, vocazioni inespresse, richieste di aiuto che non trovano il modo di venire fuori e manifestarsi.
In un mondo sempre più sordo e caotico queste voci sono a malapena percepibili, sono sottilissime...eppure il loro potere è tale da soffocare e spegnere il fuoco sacro del desiderio che dovrebbe costantemente ardere in ognuno di noi.
Ovviamente, beninteso, ci possono essere giorni in cui veramente uno non ha voglia di studiare, e forse neanche di fare altro, e questo è un fatto più che normale, va semplicemente accettato così com’è.
Ma, come in ogni aspetto della nostra vita, prima di ogni deduzione e di trarre qualsiasi conclusione, è essenziale ascoltare e ascoltarsi, come condizione assolutamente necessaria.
Un consiglio: mettiamo via i telefoni, spegniamo le televisioni, i tablet, le autoradio...proviamo ad allontanarci consapevolmente per una mezz’ora da tutta questa tecnologia, e anche dagli altri. Proviamo a fare silenzio, dentro e fuori di noi.
Non ci limitiamo solo a “udire” le cose, andiamo un po’ oltre, andiamo a “sentire” a “provare”, questo è ascoltare: partecipare attivamente ed essere presenti durante l’ascolto.
Quando ci manca la voglia di fare qualcosa cerchiamo di evitare di darci subito la colpa e di dirci che siamo indisciplinati: ascoltiamoci invece, e con coraggio chiediamoci onestamente “Cosa sto facendo qui? Dove vorrei essere adesso?”