LA MUSICA DA UNA PROSPETTIVA DI MAMMA E PEDAGOGISTA

Qual è il significato della musica? È il modo in cui vi fa sentire quando la ascoltate. Se ci trasmette qualcosa, se ci fa cambiare dentro, allora la stiamo comprendendo. Questo è tutto. Leonard Bernstein

CATERINA PERILLO

11/18/20243 min read

child building an four boxes
child building an four boxes

Perché parto proprio da questa affermazione del grande Bernstein? Perché per secoli, nell’insegnamento della musica, la dimensione emotiva dell’allievo nei confronti dell’arte non è stata mai presa in considerazione: l’obiettivo era quello di formare dei “virtuosi”.

E come si procedeva? Beh, per prima cosa lunghe e noiose lezioni di teoria e solfeggio e poi, dopo mesi, se lo studente non scappava via, lo si accostava allo strumento, quasi fosse un “premio” a cui ambire. La rigidità di questi metodi non dava affatto attenzione alle reali esigenze dell’allievo, alla sua naturale curiosità ed alla necessità di un suo coinvolgimento che ne favorisse l’apprendimento e la motivazione. Il risultato: degli ottimi esecutori incapaci di provare e trasmettere emozioni.

Per fortuna oggi la “musica” è cambiata e prova ne è la riforma dei conservatori che, da ambienti elitari, rigidi e ripiegati su se’ stessi, chiusi a riccio a difesa di una tradizione musicale che, per carità, merita enorme rispetto perché, non scordiamocelo mai, quella tradizione ha contribuito alla fortuna del nostro Paese, hanno finalmente aperto le porte al mondo del XXI secolo e oggi formano ottimi musicisti che non sono soltanto esecutori di musica classica.

Ma ciò che è cambiato davvero è l’approccio: bisogna tendere non più al mero insegnamento della musica, ma all’ educazione alla musica. Non parlo dell’educazione musicale che si fa a scuola e che è sempre troppo poca, ma dell’educazione nel senso proprio del termine, cioè riuscire a tirare fuori qualcosa dai nostri ragazzi: l’arte non può essere insegnata; l’arte va individuata in ognuno e tirata fuori da ognuno. L’arte è immediatezza, l’arte è emozione, l’arte è relazione con se’ stessi e con gli altri; l’arte è introspezione, l’arte è scoperta, l’arte è salvezza. La musica è questo.

Il mio maestro, che usava la musica per togliere i ragazzi dalla strada e il canto per creare sana aggregazione in un contesto difficilissimo, una volta mi disse: “se io riesco a far venire da me questi giovani che dalla vita si possono solo aspettare bruttezza e crudeltà, e insegno loro a cantare, a suonare, se riesco ad avviarli allo studio della musica, io li avrò salvati dalla strada e dalla droga e la mia missione sarà compiuta”. Io credo avesse ragione.

E io? A me, la musica, mi ha salvata? È uno dei miei tanti amori, di certo il più lungo. Come tutti gli amori ha attraversato le sue fasi, ci siamo anche lasciati per alcuni anni, ma come si dice, il primo amore non si scorda mai ed eccomi oggi a destreggiarmi tra famiglia, studio, lavoro e lei, presenza a volte asfissiante, altre volte amica fedele in cui mi rifugio quando la vita non va come vorrei.

Da quando sono madre poi non nascondo che ho provato da subito ad indirizzare il mio primo figlio verso un certo tipo di musica: forte dei miei studi gli propinavo musica classica quando era ancora nel pancione “perché così diventa più intelligente”, e poi musica d’autore, passando per i Queen ( che devo dire ha apprezzato!), i Coldplay, il rock, la melodia italiana, persino Mina ed evitando come la peste alcuni generi ed interpreti che, a mio parere, non sarebbero dovuti proprio mai entrare a contatto col suo udito di fanciullo innocente ed inconsapevole. Tutto molto bello mi direte, “brava!” vi sento mentre la pronunciate quella bella parolina. “Passatemi i Sali” ho detto io quando un giorno lo sento cantare una canzone trap; “datemi l’acqua Santa” quando mi ha detto “Mamma, sai che a me piace tanto … (Nome di una nota cantante tanto in voga oggi). “C’è stato uno scambio di culla” ho pensato quando mi ha chiesto di cantare insieme a lui “Shakerando”.

Cosa voglio dire con questo? Che è vero che noi genitori tentiamo di dare ai nostri figli tutti gli strumenti di cui hanno bisogno nella vita, o perlomeno che crediamo abbiano bisogno per il loro sviluppo emotivo, ma loro prenderanno sempre la loro strada, sbaglieranno e si rialzeranno indipendentemente da ciò che noi gli abbiamo dato.

Paolo Crepet una volta ha detto che l’espressione concreta e reale del mondo in cui viviamo sono le storie di Instagram. Queste durano solo 24 ore, poi scompaiono e di loro non resta nulla. Quello che ascoltano i nostri figli è esattamente così: dura poco e poi scompare. Le emozioni che questa musica genera in loro durano poco, si esauriscono nell’arco di un battito di ciglia per far spazio ad altre e poi ad altre ancora, in un vortice che li assorbe e poi li li sputa fuori, per riprenderseli ancora e ancora. È il mondo che è cosi, tutto va veloce. E allora noi cosa possiamo fare? Gli facciamo ascoltare la musica classica così diventano più intelligenti, la musica d’autore, il rock, i Queen, i Coldplay, la melodia italiana e pure Mina, e sperare che il mondo lì fuori rallenti, così che loro possano fermarsi un po’ a respirare la bellezza.