Dietro le quinte, accanto a loro: come sostenere i figli di fronte all’ansia da palcoscenico

Una guida per i genitori in vista dei saggi finali

Barbara Vesce

5/5/20252 min read

a red heart shaped object floating in the air
a red heart shaped object floating in the air

Ci siamo: il saggio finale si avvicina. I bambini e i ragazzi sono in fermento, le aule si riempiono di musica e prove, e nell’aria si respira un misto di entusiasmo e... ansia.

Quella stessa ansia che ogni genitore ha visto, almeno una volta, affacciarsi negli occhi del proprio figlio prima di salire su un palco: le mani fredde, la voce che si abbassa, le frasi “non me la sento”, “non sono bravo”, “non voglio fare brutta figura”.

E lì, proprio lì, entra in gioco il nostro ruolo di adulti. Non solo come accompagnatori, ma come presenze consapevoli, capaci di trasformare l’ansia da ostacolo a trampolino.

1. L’ansia non è il nemico: impariamo a leggerla insieme

Prima di tutto: l’ansia da palcoscenico è normale. Non è un segnale che qualcosa non va. Anzi: è la dimostrazione che quella cosa, per il bambino, conta.
È energia, è tensione emotiva, è voglia di fare bene.

Aiutare i figli significa non negare l’ansia, ma darle un nome, un volto, un senso:

“È normale se ti senti agitato, succede anche ai professionisti. Significa che ci tieni.”

2. Evitiamo le pressioni. Amplifichiamo il valore dell’esperienza, non della prestazione

Quando un bambino si prepara a un’esibizione, ha bisogno di sapere che quello che conta è esserci, non essere perfetti.
Evitiamo frasi come:

  • “Mi raccomando, non sbagliare”

  • “Fai vedere quanto sei bravo”

  • “Hai studiato tanto, non puoi permetterti un errore”

Sostituiamole con:

  • “Goditi il momento”

  • “Siamo già fieri di te”

  • “Non importa come andrà, è bellissimo vederti lì”

3. Partecipare davvero: non solo da spettatori, ma da alleati emotivi

Il saggio non è solo “il giorno in cui mio figlio suona/canta/recita”. È un rito di passaggio, un momento simbolico in cui il bambino si espone, condivide, cresce.

Essere presenti non significa solo occupare una sedia in sala, ma:

  • Essere disponibili nei giorni prima per ascoltare i dubbi e le paure

  • Far parte del percorso (“Mi fai sentire cosa stai preparando?”)

  • Celebrare il coraggio, indipendentemente dal risultato

E se capita che l’esecuzione non vada come previsto? Nessuna delusione, nessun dramma.
Solo un abbraccio e la consapevolezza di aver fatto qualcosa di importante.

4. Il palco è scuola di vita

Salire su un palco non significa solo esibirsi. Significa:

  • Lavorare sulla gestione delle emozioni

  • Affrontare le proprie paure

  • Confrontarsi con lo sguardo degli altri

  • Imparare il rispetto dei tempi, dell’ascolto, del silenzio

  • Abbracciare la vulnerabilità

E tutto questo, a ogni età, è formazione preziosa per la crescita personale.

5. Il consiglio più grande? Amateli più forte proprio nei momenti in cui tremano

La vera vittoria di un saggio non è l’intonazione perfetta o il brano suonato senza errori.
È il bambino che ci prova, anche se ha paura.
È il genitore che applaude, anche se qualcosa è andato storto.
È lo sguardo complice tra palco e platea che dice:
“Ci sei riuscito. Sei stato grande. E io ero lì con te.”

🎶 Ai saggi finali non portate solo il cellulare per registrare: portate la vostra presenza più autentica. I vostri figli la sentiranno. E ne faranno tesoro per sempre.

Con affetto,
il team di Heart
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